Buffo! Studiamo Pirandello (soprattutto alle scuole superiori) per il suo romanzo Il fu Mattia Pascal, oppure, per la sua filosofia ispirata alla psicoanalisi. Tuttavia, come è noto, Luigi Pirandello era soprattutto un uomo di teatro: uno dei più grandi drammaturghi (e registi) del Novecento! E proprio del Teatro di Pirandello non si parla! Infatti, se anche tu sai poco e nulla del teatro di Pirandello, e desideri conoscere di più della sua produzione teatrale … sei nel posto giusto! Benvenuto nella nuova “Guida per principianti” agli autori di teatro di DiverTeatro! Oggi parleremo di Luigi Pirandello e della sua produzione teatrale!
La vita di Pirandello prima del teatro
Luigi Pirandello nasce ad Agrigento nel 1867 da una benestante famiglia borghese. Il padre era il proprietario di una miniera di zolfo . Nel 1866 Pirandello lascerà la Sicilia per studiare a Roma. Anche se vivrà a Roma per il resto della sua vita (alternando la Capitale con qualche “fuga” in Germania), Pirandello resterà sempre profondamente legato alla sua terra d’origine.
Nel 1892 inizia a scrivere su diverse riviste, tra cui alcune fondate da lui stesso, ma non guadagna molto. Il padre, stanco di mantenerlo con i suoi assegni mensili, gli combina così un matrimonio con Maria Antonietta Portulano. Lei è una donna molta ricca, la cui dote permetterà a Pirandello di trasferirsi stabilmente a Roma. Nonostante il matrimonio combinato, tra i due nascerà un profondo sentimento d’amore, che porterà alla nascita dei loro figli: Stefano, Lietta e Fausto Calogero. Maria Antonietta, tuttavia, ha un serio problema: è profondamente gelosa del marito. Ancora non sanno che la gelosia di Maria Antonietta è uno dei sintomi di una malattia mentale.
Nel 1904, nel frattempo, pubblica Il fu Mattia Pascal, il primo successo di Pirandello. Tuttavia, con lo scoppio della Grande Guerra e l’arruolamento del figlio Stefano, che per giunta viene anche fatto prigioniero dagli austriaci, le condizioni di Maria Antonietta si aggravano. In questo periodo, Maria Antonietta aggredisce ogni donna che si avvicini al marito, fino ad aggredire perfino la figlia: questo episodio tragico, molti anni dopo, verrà ripreso, chiaramente cambiandone le premesse, in Sei personaggi in cerca d’autore, quando il personaggio della Madre coglierà la Figliastra assieme al Padre in atteggiamenti equivoci.
Nel 1919 Pirandello fa ricoverare la moglie in manicomio. La malattia mentale della moglie fa interessare Pirandello agli studi sulla psicanalisi di Freud: studi che saranno fondamentali per la sua produzione letteraria, sia teatrale che non. Sulla scia di questi sudi, Pirandello scrisse L’umorismo e Uno, nessuno e centomila.
La filosofia di Pirandello spiegata in due opere
- L’umorismo. Pirandello non definiva “comiche” le sue opere, ma umoristiche. La differenza tra comico e umoristico non sta nel tipo di situazioni presentate, ma nel far percepire allo spettatore “il sentimento del contrario”. Significa, che una situazione comica può non farci ridere nel momento in cui prendiamo coscienza dell’evento tragico che l’ha scatenata. L’esempio che fa Pirandello è quello di una donna anziana che si veste come una giovane: è una situazione comica se uno avverte che la donna è vestita in modo inappropriato alla sua età, ma non lo è più se si pensa alle ragioni per cui la donna intraprende quella scelta.
- Uno, nessuno e centomila. La teoria della maschera nuda è una teoria psicanalitica di Pirandello, che tuttavia Pirandello usa per le sue opere teatrali e per caratterizzare i propri personaggi. Nel romanzo Uno, nessuno e centomila, Pirandello ci dimostra questa teoria seguendo le vicende del protagonista, Vitangelo Moscarda; un uomo ordinario che vive di rendita, ma che un bel giorno realizza che il suo naso “pende leggermente verso destra”. Secondo Pirandello, ognuno di noi è uno, ma le maschere che noi dobbiamo portare nella società sono centomila, e tutte diverse. Ogni maschera risulta appropriata a un determinato contesto sociale, e totalmente inappropriata per un secondo contesto. Tutte le maschere, tranne la maschera nuda: se un individuo può essere chiunque, può essere tutti, e perciò non è nessuno.
L’inizio dell’attività teatrale
Per vedere un’opera di Luigi Pirandello a teatro, dobbiamo aspettare il 9 dicembre 1910.
La Compagnia di Teatro Minimo di Nino Martoglio porta in scena, in quella data, due atti unici di Pirandello al Teatro Metastasio. Lumie di Sicilia e La morsa. Il primo è l’adattamento di una novella pubblicata da Pirandello nello stesso anno, il secondo viene definito come un «epilogo in un atto», che invece era stata pubblicata nel 1898 sulla rivista Ariel. Grazie all’aiuto di Martoglio, Pirandello prese contatto con l’attore Angelo Musco e nel luglio del 1915 portò in scena Lumie di Sicilia in dialetto siciliano. Pirandello tradusse il dramma personalmente. Lo spettacolo andò in scena al Teatro Pacini di Catania, e fu un successo clamoroso dal punti di vista sia della critica che del pubblico.
Musco e Pirandello collaborarono insieme per un altro spettacolo sempre in dialetto siciliano: Liolà, che andò in scena però a Roma. I due ebbero dei gravi dissensi sulla messinscena, però, e il loro rapporto lavorativo terminò immediatamente dopo il debutto della commedia nel 1916.
Solo nel 1922 Pirandello deciderà di dedicarsi esclusivamente al teatro e nel 1924 fonda una Compagnia di cui lui è il capocomico: il Teatro d’Arte di Roma.
Il Teatro d’Arte di Roma
Attorno all’esperienza del Teatro d’Arte diretto da Pirandello, vorticano alcuni nomi cruciali. Il primo, quello di Stefano Pirandello (che diventerà Stefano Landi), il primogenito di Pirandello che rivestirà un ruolo cardine nella fondazione della compagnia, per poi cercarvi un distacco quando capirà che il padre intenderà assumere totalmente la direzione del Teatro d’Arte, oltre che il capocomicato. Il secondo, quello di Marta Abba, prima attrice della compagnia e prima musa ispiratrice di Luigi Pirandello, ad oggi considerata la massima interprete del teatro pirandelliano. Il terzo, Guido Salvini, un regista e scenografo che collaborò alla messinscena di alcune delle opere più rivoluzionarie del teatro di Pirandello: Sei personaggi in cerca d’autore e Questa sera si recita a soggetto.
La compagnia sopravvisse fino al 1928. Differiva nel suo funzionamento dalle Compagnie in auge perché era sia un’impresa stabile (avevano sede al Teatro Odescalchi di Roma) sia nomade (fecero una lunga tournée in America, America latina e perfino in Russia).
Tre spettacoli del Teatro d’Arte
- Sagra del Signore della Nave. Lo spettacolo di debutto della Compagnia. Si tratta della trasposizione in dramma di una novella di Pirandello. Per il tempo, la quarta parete tra platea e palco era netta e inscindibile. Pirandello ruppe quella convenzione, e unì platea e scena durante la scena iniziale, che rappresentava una festa di paese.
- Sei personaggi in cerca d’autore. Opera metafisica, allegorica, di teatro nel teatro. L’opera racconta dell’arrivo in teatro, interrompendo le prove e l’allestimento dello spettacolo, di sei personaggi che, puri e carichi di verità, domandano di essere rappresentati. Presto, però, l’ideale della letteratura cozza con la materialità della scena, e il Capocomico capisce che la tragedia di quei personaggi non può essere rappresentata. Lo spettacolo venne fischiato aspramente dal pubblico, la sera del debutto, che gettò monetine sul palco in segno di protesta.
- Questa sera si recita a soggetto. Anche se in realtà lo spettacolo debutterà dopo la fine del capocomicato di Pirandello nel Teatro dell’Arte, è un’opera che Pirandello aveva scritto durante quel periodo. Si tratta di una novità assoluta: prima di allora mettere in scena una novella voleva dire riscriverla in forma di dramma oppure improvvisare a soggetto. Luigi Pirandello riscrive il processo di messinscena a soggetto di una sua novella, rivelando così il ruolo centrale della figura novecentesca del regista.
Dopo il Teatro d’Arte
Conclusa l’esperienza del Teatro dell’Arte, Pirandello continuerà a fare teatro, e fonderà con Marta Abba la Compagnia Pirandello.
Il regime fascista gli causerà croci e delizie: Mussolini inserisce Pirandello nel pantheon di intellettuali e artisti italiani che serviranno a creare un orgoglio nazionale comune. In quello stesso periodo, Pirandello vince il Premio Nobel. Tuttavia, la censura fascista causò diversi problemi al drammaturgo agrigentino, che vide molte delle sue opere ritirate dalle scene o totalmente revisionate perché non perfettamente in linea con gli ideali del regime. In più, il mancato finanziamento dello Stato al Teatro Odescalchi sarà la principale causa della sua chiusura.
Morirà nel 1936 a Roma a causa di una polmonite presa a Cinecittà, sul set del film sul suo romanzo Il fu Mattia Pascal. Pirandello muore lasciando incompleta la sua ultima opera: I giganti della montagna. Nel suo testamento, rifiuterà i funerali di Stato: una tappa obbligata per ciascun intellettuale insignito del merito di entrare nel pantheon fascista. La decisione di farsi cremare confermerà la sua volontà di non diventare un martire del fascismo. La sua volontà naturalmente fu rispettata, ma ai giornali fu vietato di pubblicare elogi funebri a lui dedicati: i media comunicarono la morte di Luigi Pirandello come se fosse un mero fatto di cronaca.
Solo dopo la guerra, le ceneri di Pirandello vennero riportate in Sicilia. Ciò avvenne grazie all’intercessione dello scrittore siciliano Andrea Camilleri, che oltre ad essere l’autore dei libri sul Commissario Montalbano, era anche un regista e un uomo di teatro. Con il suo gesto, Camilleri rese infatti omaggio non solo a un grande uomo di teatro, ma anche a un suo conterraneo che aveva fatto, in vita, la storia del teatro del Novecento.
Fasi del Teatro Pirandelliano
- Fase Prima – teatro dialettale. Dopo essersi laureato con una tesi sul Siciliano, Pirandello scrive alcune opere completamente in dialetto allo scopo di cogliere il profondo realismo della sua terra natia e dei suoi abitanti, e riuscì a portarle in scena grazie alla collaborazione con il primattore Angelo Musco. Alcuni titoli: Lumie di Sicilia, La morsa, Liolà.
- Fase Seconda – teatro umoristico. Si tratta della fase del teatro di Pirandello in cui sviluppa la sua teoria sull’umorismo. Dal realismo con cui rappresenta la povertà della Sicilia, Pirandello inizia a occuparsi del decadentismo borghese. Le sue opere umoristiche si connotano di una ricercata sfaccettatura grottesca e un’essenzialità scenica estranea fino a quel momento e che intendono diversificare il genere pirandelliano dal comune dramma borghese. Alcuni titoli: Così è (se vi pare), Il berretto a Sonagli, Il giuoco delle parti.
- Fase Terza – teatro nel teatro. Pirandello sperimenta questo genere soprattutto nel periodo del Teatro d’Arte. Si tratta di un tipo di teatro che usa lo spazio teatrale nella sua totalità, senza fermarsi alla scena: gli attori agiscono nel foyer, nella platea, dietro le quinte, fin fuori alla strada davanti all’ingresso del teatro. Anche il ruolo dello spettatore viene riposizionato in modo da non relegarsi alla frontalità della platea. Questo perché questo tipo di teatro indaga la natura stessa del teatro: il luogo dove può palesarsi, tramite rappresentazione, la teoria della maschera nuda. (Per un approfondimento, leggi sul blog di Diverteatro l’articolo sul Metateatro) Alcuni titoli sono: Sei personaggi in cerca d’autore, Questa sera di recita a soggetto e Ciascuno a suo modo.
- Fase Quarta – teatro dei miti. Nell’ultima fase della sua vita, Pirandello si interessa al teatro dei miti. La sua ultima opera, I giganti della montagna, fa parte proprio di questa categoria. Pirandello scrisse solo i primi due atti dell’opera, ma raccontò, in punto di morte, al figlio Stefano Landi come sarebbe dovuto andare a finire il terzo. Landi, dopo la morte del padre, scrisse una versione romanzata del terzo atto dell’opera. Tuttavia, oggi si sceglie sempre, per una rappresentazione de I giganti della montagna, la versione in due atti: preferendola nel modo in cui ce la lasciò Luigi Pirandello.
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