“Facciamo finta che io ero…”
Come spesso mi capita, anche questa volta parto dai bambini, che sono migliori interpreti!
E questa frase, tipica dei loro giochi, può spiegare perfettamente il lavoro dell’attore.
Per attore, infatti, si intende comunemente colui che finge di “essere” un altro.
In realtà, nel mondo del teatro e dello spettacolo, non tutti sono d’accordo su questo punto. Anzi.
Due delle figure più importanti del teatro del Novecento, Konstantin Sergeevič Stanislavskij e Bertolt Brecht avevano idee diametralmente opposte sulla questione!
Stanislavskij infatti, regista, attore e teorico teatrale russo, è stato uno strenuo sostenitore dell’identificazione dell’attore con il personaggio. Per lui l’attore doveva sacrificare se stesso per calarsi totalmente nel personaggio in modo da renderlo vivo e reale sul palcoscenico; questa identificazione doveva essere preparata da un accuratissimo studio non solo del personaggio ma anche del suo ambiente.
Pensate che per interpretare il ruolo di Otello si recò a Venezia per studiare affreschi e dipinti e acquistare una notevole quantità di mobili, stoffe e oggetti (tra cui un’autentica spada veneziana) da utilizzare per le scenografie e i costumi. E poi anche a Parigi per frequentare e osservare le abitudini e il modo di vivere di un conoscente arabo.
I suoi attori vivevano addirittura insieme per tutto il periodo delle prove! Visitavano luoghi analoghi a quelli in cui era ambientato il dramma che dovevano rappresentare e si sottoponevano ad esercizi psico-fisici finalizzati alla totale e completa identificazione con il personaggio da interpretare.
Mi chiedo come uscissero psicologicamente illesi da uno studio così approfondito…
Il pubblico, insomma, per Stanislavskij, doveva vedere sulla scena il personaggio, non l’attore.
Al contrario, Brecht, che era uno studioso del marxismo e fautore della lotta di classe contro la società borghese, attribuiva al teatro il compito di scuotere le coscienze.
Lo spettatore, per Brecht, non doveva “entrare” nel dramma e immedesimarsi nel personaggio provando le sue emozioni, doveva piuttosto “osservare” il dramma, confrontarlo con la vita reale e acquisire una coscienza civica che lo spingesse ad agire.
Per favorire questo processo l’attore non doveva identificarsi con il personaggio, bensì “stargli accanto” per “mostrarlo” allo spettatore. L’unità formale dello spettacolo veniva spezzata (anche i cambi di scena, ad esempio, avvenivano a vista) a favore dell’unità fra spettacolo, spettatore e società.
E voi, quale tipo di attore preferite? Quello che “diventa” il personaggio o quello che “gli sta accanto”? O forse una via di mezzo?
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