“Guarda com’è timido…“, “Ah, è proprio arrabbiata!“, “Non l’ho mai vista così felice“, “Quel tizio sembra annoiato“… Queste sono solo alcune delle frasi che quotidianamente potremmo dire o pensare osservando le persone intorno a noi, il loro atteggiamento, la loro espressione o postura, senza che queste abbiano detto “A” o si siano direttamente rivolte a noi. Magari sono pure a metri e metri di distanza e non sentiamo una sola parola di quello che stanno dicendo. E magari non le conosciamo nemmeno!
Insomma, come abbiamo fatto a capire, solo con uno sguardo, l’umore di quella persona?
O, ancora, potremmo essere dietro una porta chiusa, ad origliare una conversazione in una lingua a noi completamente sconosciuta, di cui non capiamo una singola parola, e indovinare se si tratta di una conversazione amichevole o di lavoro, amorosa o litigiosa, ecc…
Come abbiamo fatto a intuirlo, senza nè vedere le persone che parlano, nè capire la lingua che stanno parlando?
Ci sono molti codici, verbali o fisici, a cui ricorriamo quotidianamente, senza doverci pensare. Ci vengono del tutto automatici.
Eppure, quando ci capita di doverli riprodurre, come spesso accade ai corsisti del nostro corso di teatro, il più delle volte non ci viene facile individuarli, ripeterli e farli nostri.
La cosa che personalmente trovo davvero affascinante è come ognuno di noi possa dare e dà vita ad un gesto codificabile in modo del tutto personale, come solo lui può farlo, eppure, al tempo stesso, in modo inequivocabile per chiunque abbia di fronte. Perchè possiede in sè delle caratteristiche comuni, seppure non uguali, a quelle della stragrande maggioranza della popolazione mondiale!
Pensiamo, ad esempio, al sorriso. Ognuno di noi sorride nel suo modo unico e particolare. Il mio sorriso non è uguale al tuo o al suo, nè a quello di chiunque altro. Può avere al massimo delle similitudini con pochi altri sorrisi nel mondo. Eppure, quando sorrido, è sempre chiaro a tutti che sto sorridendo!
E allora capite bene quanto vasta può essere la scelta del gesto da utilizzare sulla scena per esprimere una particolare emozione. Una volta individuati tutti i caratteri comuni codificabili di quella emozione, abbiamo solo l’imbarazzo della scelta!
Facciamo un esempio semplice semplice: devo interpretare un momento di gioia. Osservando la vita quotidiana, posso subito capire che gesti che esprimono gioia possono essere sorrisi, risate, salti, movimenti veloci e frizzanti, scoppiettanti, un volume di voce più alto, un timbro più chiaro, ecc… Ma pensate a quanti tipi di sorrisi potrei decidere di fare per quel mio personaggio! Posso riprodurre un sorriso a denti stretti, a 32 denti o non far proprio vedere i miei denti. E gli occhi posso tenerli aperti o chiuderli. Posso arricciare il naso o no. Oppure prendiamo la risata: potrei ridere silenziosamente, a bocca chiusa, a bocca larga, sibilare ridendo a denti stretti, ridere con la A, con la I, con suoni acuti o gravi, con un ritmo veloce o lento, ecc…
Come vedete, per dare vita ad un personaggio che sia unico, solo nostro e più o meno simile o distante dal nostro modo di essere, di fare, di parlare, abbiamo solo da osservare quanto più possibile chiunque intorno a noi. Conosciuto o sconosciuto. Memorizzare, catturare, fissare nei minimi particolari i suoni, i gesti e le espressioni. E poi decidere quali utilizzare e come miscelarli tra loro.
Diventa un gioco assai divertente e intrigante, no?
Voi cosa ne dite?