Tutti conoscono Gabriele D’Annunzio, il Vate del Novecento italiano, per la sua poesia vitalistica e la sua produzione esteta. Pochi conoscono, però, nel dettaglio, la sua attività teatrale. Ahimè, c’è una ragione! Per D’Annunzio, infatti, parte integrante delle sue opere scritte doveva prendere vita sulla scena attraverso l’allestimento. Un personaggio eclettico come quello dannunziano, del resto, non poteva non provare il proprio vitalismo usando tutti i media e tutti i mezzi disponibili a quel tempo. In questa Guida per principianti andremo a scoprire l’opera teatrale di Gabriele D’Annunzio, attraverso lo studio di sue due opere e del rapporto che ha avuto con la divina Eleonora Duse!
Gabriele D’Annunzio: chi era?
Gabriele D’Annunzio (1863-1938), come è noto, è stato uno dei più importanti scrittori e poeti italiani, figura centrale del Decadentismo, del Simbolismo e dell’Estetismo italiano. La sua opera si caratterizza di una forte impronta vitalistica e una continua ricerca della bellezza e dell’eroismo. D’Annunzio cercava di fondere arte e vita, esaltando il piacere sensuale, la potenza dell’individuo, il culto della personalità e la filosofia del superomismo di Nietzsche.
Perciò è importante capire che l’opera di D’Annunzio, più che in altri autori, necessitava di essere supportata da uno stile di vita che, a suo modo, poteva definirsi un’opera d’arte. Questa contaminazione tra arte e vita sarà molto importante per comprendere l’esperienza teatrale di D’Annunzio.
Ad esempio, nel 1900 D’Annunzio scrive il romanzo Il fuoco. In queste pagine, D’Annunzio racconta la storia di un poeta che, dopo aver incontrato e iniziato una relazione con una grande attrice, più vecchia di lui, trova l’ispirazione per scrivere la sua grande opera teatrale.
Nonostante D’Annunzio abbia avuto numerose relazioni con molte donne, noi oggi come chiunque al tempo non abbiamo dubbi che in realtà questo romanzo di Gabriele D’Annunzio parli della relazione che l’autore ha avuto con Eleonora Duse (anche se usa nomi diversi) dal 1898 al 1901. Secondo gli studiosi e secondo quanto racconta lo stesso D’Annunzio ne Il fuoco, è stato proprio l’incontro con questa attrice a far nascere in lui l’interesse verso il teatro.
Eleonora Duse: chi era?
Abbiamo quindi i due eroi di questa tragedia. Gabriele D’Annunzio era l’autore delle opere. Eleonora Duse, invece, chi era?
Eleonora Duse è la più grande attrice del Novecento. Al tempo, Eleonora Duse non era solo un’attrice di fama internazionale, che era andata in tournée ovunque in Europa, in America Latina, negli Stati Uniti e perfino in Nord Africa. Eleonora Duse era l’attrice più famosa del mondo.
Al tempo, fare la prima attrice in una compagnia, non era semplice: oltre a recitare (e vivere da nomadi, senza fissa dimora), gli attori si pagavano tutto di propria tasca, dai viaggi ai costumi, dalle scenografie all’affitto del teatro, agli alloggi. Quindi, i primi attori di una compagnia erano i principali finanziatori degli allestimenti. Dunque, erano anche coloro che sceglievano i testi per il repertorio della Compagnia, e ad esempio la Duse, scegliendo il proprio, è stata la prima in Italia a portare in scena autori come Ibsen o Maeterlinck. (O D’Annunzio, come vedremo!)
Eleonora Duse era una donna di teatro. Come ogni figlio d’arte del tempo, era provvista di una certa vena concreta che sviluppa, non senza fatica e non senza sacrifici, parallelamente alla sua arte. L’arte, che lei chiamava nelle sue lettere “il lavoro”.
Eleonora Duse era anche una rivoluzionaria. La Duse è stata la prima del suo tempo a contaminare la scena con le nevrosi e le contraddizioni della sua vita intima. In questo modo, si fa pioniera della recitazione naturalistica in Italia. Questo senza mai doversi confrontare con Stanislavskij che, nel frattempo, stava teorizzando le stesse tecniche in Russia. In questo senso, quindi, l’attrice potrebbe essere stata vista come l’altra faccia della medaglia.
D’Annunzio contaminava con l’arte la sua vita, la Duse portava la sua vita nell’arte.
Il Teatro di Gabriele D’Annunzio
Il desiderio di D’Annunzio era quello di riformare il teatro italiano a partire dai testi che venivano messi in scena, portando alla ribalta delle vicende che ricalcassero le grandi gesta del passato. Naturalmente, sempre con un occhio alla modernità. Da gran fan di Nietzsche qual era, D’Annunzio sicuramente aveva letto La nascita della Tragedia. Perciò, esattamente come il filosofo tedesco, vedeva nel Teatro Antico dei Greci un modello a cui aspirare.
Ma cos’aveva questo Teatro dei Greci che piaceva tanto a Gabriele D’Annunzio? Oltre alla dimensione “dionisiaca” del teatro, gli interessava anche la sua dimensione “panica” dei grandi teatri greci all’aperto, incastonati nelle montagne e costruiti sui pendii naturali.
D’Annunzio credeva infatti che il contatto con la natura restituisse una dimensione “panica” del Teatro. Gli spettatori greci assistevano agli spettacoli in edifici teatrali immersi nel verde, incastrati nelle montagne: era dunque più facile per uno spettatore sentirsi, in quei luoghi, un tutt’uno con la natura.
Al tempo di D’Annunzio, però, il teatro open air non era qualcosa che andava molto di moda. Quindi, il poeta tentò di restituire questa dimensione panica, naturale e romantica dei teatri greci attraverso l’uso di una scenografia grandiosa: veri alberi, vere colonne doriche, veri oggetti di scenario. Gabriele D’Annunzio voleva che lo spettatore si sentisse come immerso in una dimensione onirica, meravigliosa ma anche inquietante. Questo doveva essere lo scenario per le sue opere teatrali.
Un esempio: La città morta
La città morta è un testo che si ispira alla scoperta delle rovine della città di Troia da parte dell’archeologo tedesco Heinrich Schliemann nel 1872.
La trama si incentra sulle vicende sentimentali che legano due coppie. La prima, Alessandro e Anna: lui scrittore, lei cieca. Alessandro è evidentemente un alter ego dell’autore, mentre lei è diventata cieca in seguito a un trauma. La seconda è una coppia di fratelli, un fratello e una sorella. Lui è Leonardo, un archeologo che sta scavando alla ricerca dell’Antica Micene. Lei è Bianca Maria, una giovane fanciulla. Bianca Maria è molto affezionata al fratello, ma Leonardo, da quando ha iniziato gli scavi, è preda di manie incontrollabili causate da stress ed euforia. Queste manie sfociano in manifestazioni concrete di follia e addirittura sentimenti incestuosi nei confronti della sorella.
Alessandro e Leonardo sono amici, e il primo raggiunge il secondo sugli scavi, accompagnato dalla moglie. Lì, Alessandro incontra Bianca Maria e i due si innamorano. Anna, nonostante sia cieca, arriva a capire l’amore tra loro due e lo accetta senza rabbia o risentimento. Leonardo, invece, ha la reazione opposta: quando viene a sapere della relazione tra la sorella e l’amico, decide di uccidere Bianca Maria, annegandola in una fonte per conservarne la verginità. Viene scoperto da Alessandro.
Nel finale, mentre Alessandro e Leonardo rimuovono il corpo di Bianca Maria, Anna arriva a scontrarsi con il cadavere della fanciulla, e in quel momento riacquisisce la vista. Nel momento in cui torna a vedere, si accorge che Bianca Maria è morta e lancia un grido.
Analisi de La città morta (1898)
I riferimenti alla cultura dell’Antica Grecia sono molteplici. Questo, naturalmente, oltre al fatto che l’opera abbia luogo sugli scavi di una città greca. La cecità di Anna è un riferimento alla condizione della veggenza omerica del Poeta Vate. Inoltre, in alcune scene, Anna e Bianca Maria leggono alcuni passi dell’Antigone di Sofocle per entrare in contatto con la culla della civiltà greca che stanno riportando in superficie. Tuttavia, potrebbe essere vista anche come una premonizione del personaggio cieco-veggente di Anna sulla morte della giovane Bianca Maria che, come la giovane Antigone, muore da giovane, per mano di un familiare.
Antigone muore rinchiusa dentro una grotta, condannata a morire di fame. Bianca Maria muore annegata in un fiume. In entrambi i casi, la loro è una morte “panica”, cioè avvenuta in fusione con uno degli elementi della natura e del paesaggio circostante. Inoltre, Antigone è figlia di Edipo, pertanto è evidente anche il legame tra il destino di Anna e i sentimenti incestuosi di Leonardo.
Il debutto parigino e quello italiano
La città morta non è stato il primo spettacolo interpretato dalla Duse, scritto da D’Annunzio. Tuttavia, fu probabilmente la prima opera dannunziana in cui Eleonora Duse si occupò in prima persona dell’allestimento. La Duse al tempo faceva Compagnia con Ermete Zacconi e stava sviluppando, in seno a questa esperienza, un repertorio ibseniano molto cupo e molto espressionista che ricalca molto i temi dell’Opera di D’Annunzio.
Per la prima dello spettacolo nel 1898 a Parigi, il ruolo di Anna venne dato a Sarah Bernhardt, la rivale del tempo della Duse. Per la prima italiana, il 21 marzo 1901, invece, fu la Duse a interpretare il ruolo.
La risposta del pubblico
Eleonora Duse promise a D’Annunzio, con il quale nel frattempo aveva iniziato un affaire amoroso, che si sarebbe presa a carico l’allestimento e i costi della scenografia. Per dare giustizia alla visione di D’Annunzio, e riconoscendo che il legame con la Grecia Antica andava molto oltre il semplice setting, vennero commissionate delle enormi scenografie. Vennero messe in scena delle vere statue greche e colonne doriche. Tutto questo andò a gravare sulla tasca della Duse, ma a favore dello spettacolo. L’allestimento era grandioso e sia Duse che D’Annunzio avevano riposto sincere speranze in questo spettacolo.
Il giorno della prima, D’Annunzio non si presenta in teatro: scrive alla Duse che per tutta la durata della rappresentazione girerà con la carrozza in strada, attorno al teatro, immaginandosi nella sua testa come sta andando la pièce al suo interno.
Eppure, l’opera non ebbe il successo che si erano aspettati. Nel frattempo, infatti, D’Annunzio aveva pubblicato Il fuoco. Il riferimento nel romanzo alla Duse era evidente. E fu, naturalmente, uno scandalo. Sull’onda dello scandalo, nessuno si recò a teatro e, chi ci andò, ci andò con malizia, pronto a criticare. Apparirono recensioni tremende.
Se leggessimo le recensioni, scopriremmo che la “motivazione ufficiale” del fiasco, però fu che la sottotrama incestuosa non piacque al pubblico. Nemmeno la potenza espressiva di Eleonora Duse poté salvare l’opera.
Francesca da Rimini (1901)
Dopo lo strano insuccesso de La città morta, Eleonora Duse e Gabriele D’Annunzio misero in scena l’opera in versi Francesca da Rimini (1901), che invece andò bene. L’opera si ispira al noto V Canto dell’Inferno di Dante e vide la presenza di Gustavo Salvini nei panni di Paolo, accanto alla Duse che, naturalmente, era interprete di Francesca.
Il successo dovette risollevare le finanze della Duse al punto tale da incoraggiare Gabriele D’Annunzio a tentare la scrittura di un’altra opera in prosa, come lo era La città morta: La figlia di Iorio (1903). Eleonora Duse, anche in questo caso, si prende a carico le spese di allestimento.
La figlia di Iorio (1903) e la fine del rapporto con la Duse
Ambientata nella società rurale abruzzese, la tragedia narra di una favola finita in tragedia. L’elemento favolistico è dato dalla relazione tra un contadino e la figlia di un mago. La tragedia avviene a causa delle conseguenze che questa relazione ha sul nucleo famigliare di lui, portando alla morte della sorella su una pira, condannata a bruciare per l’accusa di stregoneria.
Anche in questo caso, i temi scabrosi non mancano: incesto, stupro, patricidio, stregoneria e chi più ne ha ne metta.
A suo tempo, Gabriele D’Annunzio difese a spada tratta il suo diritto di portare in scena l’opera, giustificando ogni atto illecito con il bisogno di esaltare l’esuberante natura animalesca dell’uomo allo stato più grezzo. Eleonora Duse, tuttavia, non era del tutto convinta di questa scelta: se l’incesto tra Leonardo e Bianca Maria ne La città morta aveva dato tanto fastidio al pubblico, perché riproporlo anche ne La figlia di Iorio? La relazione, nel frattempo, andata in crisi tra Eleonora Duse e Gabriele D’Annunzio si riversò inevitabilmente anche sull’organizzazione della prima, fino a sfociare nella malattia di lei. Gabriele D’Annunzio approfittò delle cattive condizioni di salute della compagna per rimpiazzarla, dando il suo ruolo a Irma Gramatica con la scusa che “non voleva rischiare”.
Eleonora Duse si sentì profondamente tradita da D’Annunzio e decise così, in seguito all’episodio, di rompere la relazione con lui, sia dal punto di vista lavorativo che da quello affettivo.
La prima di La figlia di Iorio fu un vero successo. Oltre a Irma Gramatica, il cast vedeva la presenza della Compagnia Talli, e quindi Ruggero Ruggieri come primo attore, Lyda Borelli, Teresa Franchini e Oreste Calabresi (al tempo, erano tra gli attori più grandi e importanti in Italia). Tuttavia, dopo la pesante rottura con Eleonora Duse e l’inaspettato successo dell’opera, D’Annunzio entrò in una crisi creativa e sentimentale che lo porterà a perdersi in una spirale di lussi e debiti.
Altre opere di D’Annunzio
Dopo aver affrontato il successo della Figlia di Iorio, D’Annunzio continuerà a scrivere per il teatro fino all’entrata in Guerra dell’Italia. A guerra finita, invece, D’Annunzio si dedicherà interamente alla poesia, alla politica, alla pubblicità e all’uso di mezzi d’espressione e diffusione artistica più moderni.
Tuttavia, le sue opere continueranno a essere allestite nel corso degli anni dalla stessa Duse, anche se D’Annunzio non vorrà più seguirne gli allestimenti.
Oltre alle due opere già citate, è bene menzionare altre opere teatrali di D’Annunzio:
- La fiaccola sotto il moggio (1905)
- Il martirio di San Sebastiano (1911)
- La crociata degli Innocenti (1915)
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